Annali della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Cagliari

Nuova serie, vol. XX, 1997, pp.183-205.

Maria Concetta Dentoni: I calmieri: ovvero della sfortuna del sindaco di Cagliari Ottone Bacaredda.

Abstract

Il titolo scherzoso e chiaramente irriverente del mio saggio è, comunque, la registrazione di una verità storica assolutamente incontrovertibile; fu sui calmieri, sul loro uso o, meglio, sul rifiuto del loro uso, che la lunga carriera del sindaco di Cagliari, Ottone Bacaredda, conobbe le sue -forse- più dolorose battute d'arresto: una prima volta dopo i fatti del maggio del 1906 e, ancora, nell'agosto del 1917, durante la Prima Guerra Mondiale.


I due episodi, distanti tra loro più di dieci anni, presentano straordinarie consonanze di scenari/protagonisti/esiti immediati e differiti: scopo di queste note è analizzarli e tentarne un'interpretazione, all'interno di un lavoro più ampio, relativo a tutto il primo ventennio del 900 e teso ad evidenziare i comportamenti delle varie autorità -centrali o periferiche, a qualunque livello o grado di potere- di fronte all'emergenza determinata dalle proteste popolari conseguenti alle crisi del mercato alimentare.
Argomento privilegiato della storia economica e sociale dell'età moderna, il fenomeno del caroviveri -con le proteste sociali ad esso conseguenti- è stato quasi sempre trascurato dagli storici contemporaneisti, più attenti ai movimenti dei gruppi sociali ed economici strutturati -la classe operaia, ad esempio- piuttosto che alle proteste, agli assembramenti di quegli insiemi di individui genericamente definiti popolo. Considerati manifestazioni ancora non politiche, intendendo per politico solo ciò che è organizzato, i moti per il caroviveri di età contemporanea sono stati analizzati solo come fenomeni conclusi in se stessi, senza conseguenze oltre la loro scontata repressione da parte delle autorità.
Partendo da una concezione che, invece, rifiuta la deformazione economicistica o irrazionalistica di questo particolare tipo di conflitto sociale, rivendicandone -di contro- la forte valenza politica (E.P.Thompson), nel mio lavoro metto a confronto i vari personaggi di quei fenomeni che, per brevità, chiamiamo ancora moti per il caroviveri, studiando, in particolare, il momento immediatamente precedente l'esplosione della violenza popolare, l'attimo in cui tutte le possibilità sono ancora aperte e tutti i protagonisti hanno ancora un ruolo da giocare.
Di quell'attimo, che può durare settimane o poche ore, o mesi, bisogna cercare di conoscere tutto: questo per tutte le parti in causa nel prima;

dopo, quando il compromesso è fallito e la minaccia della protesta si è trasformata in azione,

quel particolare episodio si annulla, divenendo nient'altro che un episodio di ordine pubblico.
Come tale esso diviene irraccontabile(A.Farge-J.Revel, 1989), con un inizio, uno svolgimento, una fine assolutamente prevedibili, addiritura banali ma, soprattutto, senza conseguenze utili per nessuno, tanto da non avere nemmeno dei vincitori ma solo dei vinti: vinta la folla, con i suoi morti, i feriti, gli arrestati; vinte le autorità che non hanno saputo far altro che reprimere la protesta; vinti i commercianti, i possidenti, danneggiati nei loro beni e nelle loro persone.
Per le vicende relative a Cagliari, tra l'episodio del 1906 e quello del 1917 vi sono alcune sostanziali differenze: il primo dà luogo a sanguinosi episodi di violenza -e le dimissioni del sindaco sono successive ad essa- nel secondo la violenza viene evitata e le dimissioni del sindaco sono il prezzo perché essa non avvenga. Cosa è mutato? Non il sindaco, sempre Bacaredda, non il suo modo di valutare i fenomeni del caroviveri e il suo modo di porsi verso le masse; di diverso c'è che nel 1917 il Paese è in guerra e non si può rischiare un'esplosione popolare, un'altra, dopo quella di Milano e mentre tutte le città sono in fermento (e a Torino, infatti, a fine mese, si sarebbero avuti gli episodi più gravi).
Dopo Torino- e dopo lo shock di Caporetto- dimenticata la separatezza tra i due mondi del fronte e della popolazione civile, rifiutato il metodo del tacere e obbedire dei vari Salandra, Sonnino e Cadorna, la ricerca del consenso sociale divenne un elemento prioritario della politica del governo italiano; di quel consenso sociale la questione alimentare fu il fulcro patriottico, secondo l'espressione del nuovo responsabile del Approvvigionamenti e Consumi, l'industriale Silvio Crespi, un liberista pentito che non esitò a mettere in pratica tutti i sistemi più antichi pur di sfamare la popolazione civile ( o, quantomeno, evitare che, per motivi legati alla mancanza di cibo, esplodesse in rivolte che avrebbero compromesso la continuazione della guerra).
A questo scopo egli non rifiutò nemmeno l'utilizzo dei tanto vituperati calmieri, ossia la determinazione dei prezzi massimi, uno strumento da sempre ben accetto, nei secoli, agli strati popolari e ai consumatori in genere: un sistema che, più di dieci anni prima, il sindaco Bacaredda aveva invece rifiutato, convinto che una città come Cagliari, ...en marche verso il progresso, non potesse retrocedere agli usi di quando ...pelliti e mastrucati...stavamo appollaiati sui nostri monti, come avrebbe scritto, ironico e arguto come egli amava essere, in quello che poi divenne la sua versione dei fatti del 1906,
L'ottantanove cagliaritano
un divertissement che egli dichiarava diretto contro i suoi avversari politici ma, in realtà, irridente verso quel popolo che dichiarava a gran voce di amare.
Anche a non accettare tutte le critiche de Il Paese, il giornale del suo più accanito accusatore, l' avv. Cao, o a non sposare le posizioni di un uomo forse più interessato alla sua carriera politica che al benessere delle masse, l'osservazione sul modo oligarchico, feudale, di intendere il governo della città, da parte di Bacaredda, non sembra molto lontano dal vero, così come, pur ammettendo la superficialità di alcune proposte economiche de Il Paese, risulta evidente l'incomprensione manifestata da Bacaredda rispetto al disagio dei ceti meno abbienti nella fase di trapasso economico di inizio secolo.
Anche nel 1917, nuovamente sindaco della città, Bacaredda avrebbe dimostrato di non comprendere le urgenze imposte dalla guerra: ancora avrebbe voluto ripetere il suo sistema di governo quasi personale, pretendendo non esistesse il problema del caroviveri, rifiutando le proposte per la creazione dell'Ente Autonomo dei Consumi -peraltro giungenti dall'alto, dal sottosegretario Canepa- o le proposte per l'uso quantomeno politico dei calmieri. Le accuse rivoltegli, non da Il Paese, questa volta, ma dai giornali socialisti, dalla Camera del lavoro, in parte anche dalla stampa cattolica, richiamavano quelle del 1906: la sua giunta sarebbe stata composta da uomini ...impotenti a frenare l'insaziabile ingordigia dei bagarini del mercato, compari compiacenti di società trustaiole e affamatrici del popolo (l'allusione era per la Vinalcool), ancora egli avrebbe speso nel lusso -questa volta per gli arredi del Palazzo Comunale- il denaro necessario a far vivere meglio i cittadini, ancora avrebbe perso tempo con Commissioni e memoriali per poi andare avanti a suo modo.
Pressato da una combattiva Camera del lavoro, se non convinto dai riformisti alla guida del settore governativo degli Approvvigionamenti e Consumi, Bacaredda dovette, infine, concedere i calmieri ma, incapace -o restio- a procedere contro la potente lobby dei rivenditori del mercato che avevano iniziato una serrata, alla fine fu costretto a dimettersi, lasciando la città nelle mani di un Commissario Prefettizio.
Nella lettera in cui Bacaredda e la sua Giunta avrebbero spiegato i motivi delle dimissioni, la parola ricorrente sarebbe stato civismo; per civismo essi avrebbero abbandonato la città in quei difficili momenti, una scelta, quindi, una decisione presa, è ovvio, sempre per il bene del popolo, per evitare i tumulti. Anche in questo, nel non saper riconoscere la sconfitta, Bacaredda creava un parallelo con il 1906, così come, nel descrivere i suoi nemici, avrebbe parlato nuovamente di sobillatori occulti o palesi, ancora -come nel 1906- avrebbe indicato nella Prefettura un'autorità troppo pronta a richiedere quelle dimissioni volute dalla folla. Un'unica differenza tra i due episodi, profonda, della quale sinceramente dobbiamo essergli grati: dopo il 1917 Bacaredda non avrebbe scritto un altro libro-pamphlet.